Era la fine di ottobre del 2013 ed ero in Sicilia con Liliana, in giro per cantina: la nostra base era Chiaramonte Gulfi, presso l’azienda I Gulfi, rinomata per le meravigliose declinazioni in cru di Nero d’Avola. Quel giorno avevamo appuntamento con l’enologo – Salvo Foti – che Liliana aveva conosciuto a una degustazione alla Spezia, dove aveva portato e raccontato i vini dell’Etna.
Sentirlo parlare era sicuramente affascinante, soprattutto per il suo sincero attaccamento alle proprie radici e tradizioni.
Ci raccontò del progetto de “I Vigneri” che ricalcava le orme e le pratiche della maestranza dei Vigneri, una vera e propria Corporazione delle Arti, costituitasi a Catania nel 1435, che aveva codificato le pratiche corrette per la viticoltura: potature, cimature, sesto d’impianto etc.
la nostra fantasia era già corsa a immaginare le vigne sorrette dai muretti di pietra lavica, dove le viti di nerello mascalese condotte ad alberello offrivano al sole e al vulcano i frutti benedetti.
“Perché non venite a vedere?” ci suggerì Salvo.
Io esitavo ma Liliana decise per entrambe e scegliemmo il sabato per fare la gita; ci demmo appuntamento a un’area di servizio sulla autostrada Catania Messina per essere guidate da Salvo stesso verso i luoghi da visitare.
Usciti a Fiumefreddo di Sicilia cominciammo ad arrampicarci, tornante dopo tornante, passando i caratteristici paesi etnei, dove il tempo sembrava essersi fermato e giungemmo a Passopisciaro, poco lontano da Randazzo, sul versante Nord della Muntagna.
Davanti a noi I Nebrodi, Mojo Alcantara e dietro l’Etna, maestoso e solenne: prima di una curva imboccammo una stradina in mezzo ai vigneti e arrivammo in prossimità di una casa.
Una musica ipnotica catturò la mia attenzione mentre una leggera brezza accarezzava i pampini delle viti disposte di fronte a me, con i grappoli maturi protesi quasi a ostentare la cura e l’amore che avevano ricevuto: ricordo perfettamente la carezzevole voce di Lana del Rey e le parole di Born to die che costruivano intorno a me una bolla spaziotemporale fantastica, dove tutto era sospeso e immanente.
Ci sedemmo al grande tavolo sotto la veranda e ascoltammo i racconti di Salvo Foti e di Maurizio Pagano, che raccontava la fatica e la dedizione estrema a far crescere le viti ad alberello, seguendo il sapere dei viticoltori antichi, quello che si era sempre fatto sull’Etna.
Aprimmo il vino offerto da Salvo, che nasceva dalle uve di nerello mascalese e cappuccio della vigna davanti a noi, dal nome altisonante, Vinupetra: il calice lo accolse come una benedizione e cominciò a scintillare di rubino. Il naso esprimeva note di ciliegia, prugna, humus, iris, elicriso e il tannino era ordinato e presente nel sorso, che chiudeva con una nota sapida e minerale.
Non scorderò mai più quell’assaggio, un momento davvero magico che riesce ancora a ripetersi quando apro una nuova bottiglia.